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I racconti di Federica: I suoni della vita

Di Federica Sanguigni

Breve introduzione di Marina Agostinacchio

In questa narrazione-verità, Federica richiama la nostra attenzione sul tema dell’abbandono. In questo caso si tratta di donne che hanno speso la propria esistenza per gli altri, donne attive, capaci di sapere ascoltare il suono della natura, degli oggetti, i rumori delle persone, donne capaci di sapere cogliere la sinfonia e la bellezza di ogni cosa e di tutto l’intrinseco significato, il movimento che dà certezza che siamo qui, ancorati alla nostra terra. Per certi aspetti, sembra questo di Federica, un inno alla vita! Ma solo fino a un certo punto. Sì, perché quando invecchiamo, diveniamo forse un disturbo per gli altri, ci “accartocciamo” e non tanto perché privi di forza fisica e mentale, quanto perché volutamente dimenticati.

Le piaceva ascoltare i rumori dell’estate.
Non il dolce sciabordio delle onde del mare o il frinire delle cicale.
Lei amava i rumori pesanti, che sciamavano dalle finestre aperte degli appartamenti vicini.
Il tramestio delle stoviglie nel lavello dopo pranzo, ad esempio. Quanto amava quel rumore, e le chiacchiere fitte tra un’insaponata e un risciacquo. Per non parlare delle urla dei bambini che, incuranti del caldo, giocavano a pallone nel cortile sottostante. I vicini mal tolleravano quei ragazzacci, come li chiamavano loro, perché volevano riposare e l’afa e le voci gli davano fastidio.
Lei invece amava quei rumori. Li chiamava i suoni della vita. Quelli che in casa sua non si sentivano più.
Da anni, ormai, viveva sola in quel piccolo appartamento. Non aveva più piatti da lavare. Si nutriva di tonno che mangiava direttamente dalla scatoletta, accompagnandolo con un piccolo panino. A volte digiunava, perché non aveva voglia di scendere giù al piccolo negozio vecchio stile che annaspava faticosamente tra i vari supermercati che spuntavano come funghi.
Di voci nel suo appartamento non se ne sentivano più. I figli erano lontani e pieni di impegni. Dei nipoti non ricordava più nemmeno il volto. Settimane bianche, campi estivi e mille altre cose più importanti di lei.
La televisione, infine, era solo una scatola che stava lì ad accumulare polvere.
La sua casa era avvolta nella solitudine e nella penombra. Al suo campanello non suonava più nessuno. Viveva nella dimenticanza. Degli altri.
Di lei si ricordarono solo quando un forte e sgradevole odore riuscì a superare quel maledetto e ostinato silenzio.

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