Cara Daniela,
i tuoi scritti mi rituffano ogni volta nel mondo che per anni è stato anche il mio.
Dal lontano, ormai, 1983, ad oggi.
Vado in pensione. Pensavo che sarebbe stato un momento particolare, tra colleghi convenuti da tutte le scuole attraversate negli anni ed allievi – genitori, maturandi, pre -adolescenti, ragazzi saltellanti tra tutte quelle sfumature che si interpongono tra le fasce di età. Tra il rosa e il nero, tra le risate e gli innervosimenti, le indulgenze e gli atteggiamenti di fermezza.
E invece niente; il covid non mi ha lasciato neppure la possibilità di un saluto normale, anzi, con sarcastica cattiveria, mi ha tolto anche il tentativo di vestirmi di indifferenza per non emozionarmi.
Le telecamere spente, dicevi. Ma tu potrai riaccenderle a settembre, alternando un “Non ti sento! Dove sei? Non ti vedo…” a un’infilata di occhi, fluttuanti su mascherina, nei loro occhi, quelli dei ragazzi seduti nei banchi con tanto di divisorio in plexiglass.
Me ne vado alla chetichella, quasi come un soldato caduto senza nome e senza ricordo, senza medaglietta di riconoscimento. Perché è così che mi sento.
Spero di essere pessimista. E che Marina resti nella mente e nello spirito di qualche alunno di cui magari proprio io, Marina, ho compreso con lentezza la stima nei miei riguardi; uno degli ultimi perché non sapeva fare uno più uno, per lui sempre uguale a una cifra diversa dal due.
Marina
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