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Diritti fondamentali per chi?

Leggo questo pomeriggio sulla rivista online Euronews
“A Vejle, una tranquilla cittadina danese, incontriamo la famiglia Alata, una famiglia a pezzi. A pezzi una prima volta, quando hanno dovuto lasciare la Siria separatamente, dopo che il padre è stato ucciso e mutilato dalle forze di Bashar al-Assad. Si sono poi riuniti nel 2015 in Danimarca, dove hanno ottenuto lo status temporaneo di rifugiati. La madre, Sabrieh, è poi risultata affetta da disturbo da stress post-traumatico. Racconta: “Ci sono state paura e lacrime. Prima mio marito è stato ucciso, poi i miei figli se ne sono andati da casa. C’erano le bombe, il rombo degli aerei, i rumori delle incursioni nelle case…”
Ora la situazione è stata riesaminata e mentre i due fratelli maggiori(uno sposato, l’altro deve incominciare le scuole superiori) possono rimanere, la madre e le due sorelle di 10 e 12 anni dovranno tornare nella regione di Damasco, considerata non più pericolosa dalle autorità danesi, poiché cessati gli spari. La madre non vuole tornare. “Perché dovremmo voler tornare indietro? Ho paura di essere arrestata e che mi chiedano dove sono stata, dove sono stati i miei figli. Mi chiederebbero perché i due maschi non fanno il servizio militare. Questo regime non ha pietà. La Siria non è un posto sicuro per quel che mi riguarda. E poi è stato distrutto tutto, non c’è più un sistema educativo”.
La decisione è stata presa dalla Commissione d’appello danese per i rifugiati (il Danish Immigration Service e il Refugee Appeals Board), un organismo indipendente che ha riesaminato i casi di circa 1.200 rifugiati provenienti dalla regione di Damasco. Sappiamo che le decisioni del Refugee Appeals Board sono la seconda e ultima possibilità di richiesta nel sistema danese di asilo, dopodiché non rimane che rivolgersi alla Corte europea dei diritti dll’uomo. Purtroppo la situazione in Siria non è al momento ancora tranquilla, la fine dei combattimenti in alcune zone del Paese non dà garanzia di sicurezza. La famiglia che si è vista revocare il permesso di soggiorno, respinta la domanda di poter risiedere in Danimarca si trova nella stessa situazione di altri connazionali a cui ora è revocato il permesso di soggiorno o viene respinta la domanda per vivere in Danimarca. Questo nucleo di Siriani è stato confinato in centri, che fanno vivere loro in una condizione di sospensione e di precarietà, centri da cui, seppure non vengono cacciati, esercitano su di essi una pressione psicologica, per il fatto stesso di “tagliarli fuori” dalla vita sociale aggregante. Sperano così, le autorità, che i rifugiati siriani siano spinti a ritornare. Il partito nazionalista danese, contrario al multiculturalismo, pur se all’opposizione del partito al governo – il partito popolare danese – ne appoggia la linea politica, sostenendo che la Danimarca non è mai stato un paese d’immigrazione. Per il deputato Morten Messerschmidt bisognerebbe che i Siriani argomentassero con prove certe la pericolosità di un ritorno in Siria e dichiarassero perché vogliano rimanere in Danimarca per un anno o oltre, dal momento che non esisterebbe più un serio pericolo di vita in Siria. Amnesty International riferisce che, anche se i bombardamenti intorno a Damasco sono sospesi, i rifugiati se tornassero, rischierebbero ancora la vita: “Sappiamo che chi torna in Siria viene fermato ai check point e interrogato dalle forze di sicurezza, e sappiamo che le stesse forze siriane si sono rese responsabili di gravi violazioni dei diritti umani”. Se non fosse per la volontà di cercare notizie, oltre a quelle che occupano le pagine dei giornali,  relative ad aggiornamenti Covid, chissà se nelle mie giornate dedicherei alla riflessione di notizie come questa anche solo il tempo della scrittura. Mi ritrovo spesso a pensare come all’Europa sia stato più facile realizzare l’unione monetaria che adottare una politica condivisibile su temi legati ai diritti umani. Del resto già negli anni ’90, ai tempi in cui la scuola mi mandava a giornate di aggiornamento sulla messa a punto di obbiettivi comuni dei Paesi appartenenti alla UE, i referenti dei corsi dichiaravano come fosse difficile un cammino comune, proprio perché il Parlamento europeo non funzionava nella proposta di mozioni e disegni di legge secondo il sistema di voto delle democrazie a maggioranza, ma all’unanimità. Cosa fare e come fare per rendere le coscienze sensibili almeno su questioni che toccano i diritti? Che fare per sviluppare con senso critico l’etica della tutela del più esposto a una vita privata e deprivata dei diritti fondamentali di un individuo e di un popolo: rispetto, dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia? Eppure una Carta europea dei Diritti esiste. Nell’ultima sua pagina è scritto: “Il testo di cui sopra riprende, adattandola, la Carta proclamata il 7 dicembre 2000 e la sostituirà a decorrere dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona” (in vigore il 1º dicembre 2009).

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