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Disturbo selettivo del cibo: quando mangiare non è più un piacere

Di Sara Lindaver
Psicologa Psicoterapeuta Padova

“Ho deciso di chiedere il suo aiuto perché quest’estate mi sono sentita male e sono finita in ospedale. Fra le altre cose mi hanno trovato un problema di colon irritabile. Mi sono informata in internet ed ho cambiato alimentazione, togliendo molti alimenti e stando attenta alle cotture….”

In diverse occasioni mi è capitato di incontrare persone, per lo più ragazze, che manifestavano un disturbo selettivo del cibo e che si sono presentate così al primo colloquio nel mio studio. Tutte ci tenevano a precisare che non si tratta di anoressia perché “loro mangiano”.

In quasi tutte le situazioni di disturbo selettivo del cibo che mi si sono presentate le difficoltà emergevano in relazione a 3 aspetti:

il mangiare fuori casa e l’apparire diversi agli occhi degli altri per la proprio selezione dei cibi;
l’impossibilità di reperire cibo adeguato in alcune circostanze, ad esempio in periodi di vacanza all’estero;
la preoccupazioni dei propri familiari ed amici in merito al proprio rapporto anomalo con il cibo.

Nel DSM 5, il manuale di riferimento per i disturbi psicologici, il disturbo selettivo del cibo rientra all’interno della diagnosi del disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo che si caratterizza per essere un disturbo dell’alimentazione (per esempio per apparente mancanza d’interesse per il mangiare o per il cibo, per un evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo, per preoccupazioni relative alle conseguenze negative del mangiare) che si manifesta attraverso la persistente incapacità di soddisfare le necessità nutrizionali e/o energetiche appropriate, associato ad una significativa perdita di peso, ad un significativo deficit nutrizionale, alla necessità di integrazioni alimentari alternative all’assunzione di cibo e/o ad una marcata interferenza con il proprio funzionamento psicosociale.

Quel che emerge in maniera significativa in questo tipo di difficoltà è che sembra trattarsi più di un problema per gli altri che per sé stessi: sono “gli altri” che sono preoccupati e sono “gli altri” che creano disagio nel momento in cui si deve mangiare assieme.

Nel cercare di risolvere questo tipo di problematica è quindi importante ricostruire la storia di questa difficoltà, il periodo ed il contesto in cui è emersa ed in seguito approfondire quali sono “gli altri” importanti per la persona e come vengono da lei percepiti, ovvero prestare attenzione al contesto familiare e più in generale relazionale.

Spesso le persone che manifestano un disturbo selettivo dell’alimentazione sono particolarmente attente a ciò che accade attorno a loro, con il desiderio di manifestarsi sempre al meglio. Generalmente nutrono, infatti, grandi aspettative per sé stesse.

Un lavoro che viene fatto nell’ambito della psicoterapia è quello di andare ad indagare l’origine di queste aspettative e di cercare di capire quale utilità ha per la persona il controllo del cibo.

Molto spesso, infatti, emerge che controllare il cibo è funzionale a controllare altri aspetti della propria vita in cui si ha la percezione di non essere abbastanza adeguati ed è importante allora comprendere quando ed in che circostanze si è imparato che “non si è abbastanza”.

Ricominciare ad avere un rapporto sereno con il cibo, in un condizione di salute fisica e con delle piacevoli relazioni sociali è possibile. Riconoscere come proprio il diritto di godersi senza pensieri i diversi ambiti della propria quotidianità, fra cui l’alimentazione, è un primo passo.

Sara Lindaver Psicologa Psicoterapeuta Padova

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