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La veglia come luogo privilegiato del pensiero e dell’incontro col mondo

di Marina Agostinacchio

Capita che ci interroghiamo sui sogni fatti durante la notte. Quelli che ci hanno lasciato un so che di inquietudine, gioia, spavento sono poi quelli che rincorriamo in modo spasmodico le ore successive al risveglio. Ce li possiamo portare come un masso ingombrante anche per l’intera giornata, o come una piacevole ala sulle scapole, un vento buono e leggero in virtù del quale riusciamo a sopportare le contrarietà della giornata. Quale sogno hai fatto la notte scorsa? Io sirene di autombulanze sotto la mia finestra. Un campo di fragole nato improvviso sotto casa. Un nuovo parto che spiazza felice la donna non più giovane… Quante visioni, quanti spazi sovrapposti, quante voci, odori produciamo nel sonno. Continuiamo a evocare immagini, parole, riflessioni senza accorgercene. E allora dobbiamo sfatare la credenza secondo cui il sonno sia contrassegnato da uno stato passivo dell’individuo, come accade per il corpo. Sappiamo che il cervello, in una delle sue fasi, fase di rem, è maggiormente dinamico, insomma che “lavora” durante la notte. In questa “cavità”, infatti, il movimento degli occhi si fa più rapido, aumenta anche la pressione sanguigna, il respiro si fa più celere, l’attività del cervello è pari a quella della persona sveglia. Memoria ed apprendimento troverebbero qui il loro luogo di elezione, soprattutto nei piccoli che dormono di più rispetto agli adulti. A tal proposito ricordo che quando da bambina, dovendo imparare a memoria le poesie, a tarda sera ero presa da sconforto, mia madre mi diceva, e con ragione, di non preoccuparmi: la mente continuava ad essere attiva proprio nel sonno e quello che mi sembrava non memorizzato a sufficienza sarebbe riapparso fluido la mattina dopo. L’intuizione che nel pensiero vivano le cose l’aveva già avuta il filosofo Parmenide. “L’Essere -diceva Parmenide – è quello che le ‘cose’ tendono a nascondere, e che il pensiero deve portare alla luce perché è nel pensiero che le cose vivono, non in sé stesse”. Quindi, tutto ciò che immaginiamo e che chiamiamo Universo è, secondo il pensatore greco, elaborazione della mente. Ma a me interessa centrare il focus del discorso su questa affascinante riflessione di come il pensare sia luogo privilegiato di atti creativi continuamente in movimento, di come non possiamo spegnere l’interruttore dell’elaborazione dell’Universo parmenidiano neppure di notte. Quanto di ciò che sogniamo è consapevole in noi? Nella fase che chiamiamo dormiveglia? In un momento della fase 3 di rem del sonno?(ricordiamo ancora che la fase Rem, nonostante ci si trovi all’interno del sonno profondo, è caratterizzata da attività cerebrale in un’alternanza di onde Theta, Alpha e Beta, e gli occhi cominciano a muoversi rapidamente). Ci dicono gli studiosi che questo stadio del sonno si ripete secondo un percorso ciclico e alternato agli altri, 1 e 2, di almeno cinque volte prima del risveglio, inoltre che sognare sia, come la chiamo io, un’illuminazione presente almeno 2 ore ogni notte durante il sonno di rem, sede dove si elaborano e si organizzano le informazioni e si crea la memoria. Quando, in quale punto del mio dormire inizierebbe la separazione tra me, la mia capacità razionale di controllo sulle cose? Con gli anni le ore del riposo notturno si sono progressivamente accorciate; mi ritrovo a svegliarmi due, tre volte a notte, a fare fatica poi a riaddormentarmi. Capita che la mattina molto presto nell’abbandono totale e piacevole tra le braccia di Morfeo, dopo una lotta impari con la notte e senza alcuna possibilità di stratagemmi per lasciarmi andare, congetturi i pensieri più fervidi, accompagnati da parole, discorsi di cui poi non ho memoria, ma che so di avere fatti. Forse è questa la fase della veglia? La veglia è un arcano, uno spazio in cui sono bambina, mi lascio guidare da stupore, meraviglia, terrore, tensione verso un dove, a seconda delle apparizioni. Tutto riemerge o accade nuovo. Nella veglia incontro il mondo, le persone, gli spazi geografici, le ombre e gli echi di quello che sono, delle mie vite precedenti o presagio di quelle che verranno. Credo di non avere la fibra della perdita di mancanza di immedesimazione col mondo e che questa sia fortemente agganciata al dialogo che continuamente intreccio con esso; nomino le cose che siano volti, luoghi, ricordi, solitudine, dico l’invisibile, visionaria e visiva, attraverso un codice che mi struttura da sempre, una forma di parola con un ritmo, un a capo, un’assonanza, un messaggio segreto; tutto fluttua rapido, all’improvviso.

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