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Il confine

Di Cinzia Anna Tullo

“Non è questa la giusta direzione. Impensabile sfidare la velocità della luce per esplorare altri universi. La soluzione è nella mente umana, nello studio delle potenzialità neuronali in grado di metterci in contatto con altri spazi.”

Questi gli ultimi righi che lesse, mentre le palpebre, blandite dal sonno, calarono come un sipario sulla pagina del libro che, lieve, le si appoggiò sulla frangia.

Quando aprì gli occhi si ritrovò in una stanza illuminata dalla mobile luce di un ceppo scricchiolante in un camino. Era seduta su una piccola sedia verde impagliata e teneva un piedino poggiato sullo scalino di pietra antistante la fiamma.

Era difficile distinguere i particolari dell’ambiente, ma quando le pupille si abituarono al buio, Ginevra notò una figura seduta accanto a lei.

“Sei stanca, piccina, o vuoi che ti racconti un’altra fiaba prima di andare a nanna?”

“Racconta nonno, dai, racconta ancora!” lei lo esortò piena di entusiasmo. E subito si sentì a suo agio, le parve normale trovarsi lì, tornata nel suo corpo da bambina, con le treccine che le solleticavano il piccolo collo diafano.

La voce del nonno tirò su l’intreccio di un’altra storia fatata che sembrava emergere come una rete guizzante dai fondali della felicità.

Il fuoco crepitava e sputacchiava in alto faville d’oro che si perdevano nella canna fumaria.

Il tintinnio di una tazza su un piattino la fece voltare. Un’altra figura le era accanto, con una bevanda fumante tra le mani.

“Bevi, piccola. Ti riscalderà e ti farà dormire meglio dopo.”

Mandò giù il latte caldo insieme ad un benessere che veniva da lontano. Si alzò per mettere la scodella vuota da qualche parte e, voltandosi, vide la camera nella sua interezza. Guardò la credenza con i vetri adorni di tendine, le pesanti sedie scure, il grande tavolo un po’ tarlato, mentre la voce del nonno si mescolava al profumo di biscotti che aleggiava tra i mobili.

Prese in mano un ninnolo di vetro rotondo e mentre lo osservava, le parve di vedere nella piccola sfera il percorso di una vita.

Come un cane che si scrolla l’acqua dal pelo, lei lasciò che le stille dense del suo vissuto diventassero fiume intorno alle caviglie, e riconobbe i mulinelli e le rapide che l’avevano spinta in un lago senza vita né entusiasmi.

Un brivido di consapevolezza le percorse la schiena.

“Sono morta?”, chiese piena d’ansia alla donna bruna.

“No, cara. Tranquilla. Sei nel tuo tempo interno.”

“Allora sto sognando!” insistette la donna bambina, presa dall’ansia delle immagini prive di un dentro e un fuori, di un fu e di un è.

“No. – continuò la figura dai lucidi capelli bruni – Quest’attimo, solo all’apparenza onirico, è reale; corre su fili sospesi che non toccano le zolle opache della razionalità e amplifica la percezione della coscienza.”

“Ma tu e il nonno, ora, dove siete realmente?” chiese Ginevra sempre più agitata.

“Siamo dentro di te, cara. Hai chiamato e abbiamo risposto.”

La piccola mano attorcigliò una treccina intorno al dito e rimase in silenzio per qualche attimo, poi, quasi parlando tra sé, mormorò:

“Ma io devo tornare alla mia vita.”

Sensazioni infantili si mescolavano al richiamo di responsabilità e legami che la reclamavano da un’altra parte.

“Aspetta, – le disse la donna – c’è un’altra stanza che devi vedere.”

La prese per mano e la condusse in un ambiente dove discussioni accese si intrecciavano a silenzi rancorosi e frasi spezzate. In una bolla trasparente vide i suoi genitori, giovani e belli, impegnati a sbranarsi in liti furibonde, come mille e mille volte avevano fatto davanti ai suoi occhi.

“Mamma, papà!” quasi urlò Ginevra correndo verso di loro.

Non la vedevano. Non la sentivano.

Poggiò le manine sulla rotonda trasparenza e schiacciò il naso su quella infrangibile barriera. Continuò a chiamarli e chiamarli e chiamarli. Inutilmente.

Allora, smarrita, volse lo sguardo alla sua guida.

“Lo so, disse la donna accarezzandole una guancia, tu vorresti che almeno in questo universo si accorgessero di te e sapessero raccogliere le tue lacrime. Ma in quella bolla il tempo non scorre e gli eventi sono congelati nel loro eterno ripetersi.

Tu invece sei sulla linea di confine che separa il possibile dall’inconcepibile, sull’orlo del vortice in cui si può distruggere o ricreare ciò che è stato. Ti trovi a un passo dal gorgo dell’eterno dove giunge solo chi è spinto dal desiderio di riscrivere il vecchio copione e interpretare un’altra vita.

Ma per farlo bisogna essere consapevolmente pieni del tutto, del bello e del brutto, e avere il coraggio di rivivere nel profondo ogni vibrazione del passato.

Guarda!” e indicò un’alta porta. “Lì fuori ripide scale salgono e scendono sottosopra, strade tortuose si biforcano in continuazione e spirali senza fine si arrotolano intorno al seducente sole dell’errore.

Quello è il caos, dove tutto ha inizio e fine, è il percorso a ritroso che ora, se lo vuoi, puoi intraprendere.

Ginevra fu sopraffatta da sensazioni visive troppo intense per poter essere accettate dalla mente. Si sentì come risucchiata dal gorgo di un oceano in tempesta e tutto divenne buio.

Lente, le dita del mattino si infilarono tra le lenzuola e garriti di rondoni inondarono la stanza.

Scese dal letto.

Sul lavandino, lo specchio le restituì il volto con cui non comunicava più da anni. La mano appoggiata sul rubinetto, guardò l’acqua scorrere; socchiuse gli occhi e lasciò che il limpido gorgoglio coprisse il ronzio confuso di pensieri che, come vecchie comari, raccontavano fatti del passato.

Salì in soffitta.

Tra bauli e quadri impolverati trovò una vecchia sediolina verde. La liberò dagli scatoli di cartone che la soffocavano e la spostò accanto al finestrone che dava luce al solaio.

Chissà se ancora l’avrebbe retta, si chiese mentre si accoccolava sul piccolo quadrato impagliato, lentamente, come un gabbiano che ad ali aperte si posa su una falesia.

 

La materia del giorno sbiadì come fumo all’orizzonte.

Fulmineo un grande uccello bianco tagliò in due l’indaco del cielo.

 

 

 

 

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