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Martedì con “La mia libertà vale di più”

Buon anno a tutte, tutti!
Da gennaio potrete leggere e ascoltare voci di donne sul tema “La mia libertà vale di più”, la nuova rubrica che ci terrà compagnia il martedì fino a tutto il mese di marzo.
Partiamo “alla grande” con Antonella La Frazia.
Il titolo del suo pezzo è “Un respiro lungo”
Spero di incuriosirvi per con una frase tratta da quanto state per leggere “Quella sera sarebbe stata la svolta, il mio ritorno a me stessa…”.
Allora, Buona lettura!

“Un respiro lungo” di  Antonella La Frazia

Ubbidire è sottostare. Sottostare è stare sotto, avere addosso un peso, ed esserne soffocati. Ubbidire, a differenza di rispettare, è una fatica spesso dolorosa sia per il fisico che per l’anima.
Disobbedire è istintivo, è autoconservazione.
Io sono nata disobbediente. Ero l’adolescente che ti guarda negli occhi e ti risponde sempre “NO” a muso duro. Ero quella che faceva prudere le mani. A volte avevo torto e solo ora, raggiunta la maturità, riesco ad ammetterlo.
Ero quella che teneva testa a mio padre, che mi confessò, qualche anno dopo che mi ero sposata, di annoiarsi senza le nostre belle litigate.
Appunto il matrimonio mi ha costretta in una situazione innaturale per me, in una gabbia neanche dorata.
Non parlerò del mio matrimonio perché ciò coinvolgerebbe altre persone, ma della mia evasione .
Era il dodici gennaio di qualche anno fa. La sera scendeva e l’attesa mi si aggrovigliava nelle viscere. Erano mesi che ci pensavo, in realtà forse anni. Una vocina mi sussurrava “Va via.”
Mi ronzava attorno come una mosca fastidiosa.
“Va via, va via, va viaaa…”
Io la scacciavo con un gesto della mano.
Poco alla volta la vocina era diventata un urlo che mi perforava i timpani ed entrava nel cervello.
Quella sera sarebbe stata la svolta, il mio ritorno a me stessa.
Lui sarebbe andato a lavoro e sarebbe tornato la mattina successiva e io sarei andata via.
Avevo preparato tutto: un’altra casa dove vivere in cui avevo messo pochi mobili, le cose da portare, avevo allacciato le utenze.
Dovevo andarmene così, fuggire, altrimenti lui avrebbe trovato il modo di trattenermi.
Quando chiuse la porta il clack dello schiocco fu per me come il gong del pugile, il segnale dell’inizio di una nuova lotta. L’adrenalina mi riempì le vene, mischiata alla paura di non riuscire, di non fare in tempo.
Vivevamo su una collina, un posto avvolto da boschi, natura viva, dove il fiato si spezzava ogni volta che guardavo l’orizzonte con i suoi monti azzurri che custodivano la valle, dove di notte le piccole case erano stelle.
Ma la mia libertà valeva di più.
Fuori cominciò a nevicare, il cuore mi si fermò, a quell’altitudine la neve cresce veloce, da lì a poco sarei restata bloccata.
Caricai in macchina i miei gatti e i miei cani e andai.
Scendevo per la strada stretta che si avvinghiava alla montagna in spire, stando attenta a non mettere il piede sul freno, per via del piccolo strato di neve che già si era formato.
In me la paura si era fusa a decine di sensazioni indefinite, insieme avevano creato un macigno incandescente d’emozioni, pesante sui polmoni.
Arrivai alla nuova casa che era già mattina. Chiusi la porta, sistemai i bagagli, mentre i miei cani si appropriavano degli spazi annusando ovunque, come fossero già padroni, mentre i gatti cominciavano a cacciare appena il muso dal trasportino.
Mi sdraiai sul divano per cercare di prendere sonno, ma nulla. Dentro tremavo ancora, vagavo in un labirinto di sentimenti vivi e feroci, ancora i miei polmoni erano oppressi.
Decisi di scendere a fare un giro coi cani, loro erano abituati a passeggiare liberi in giardino e ora che avremmo vissuto in un appartamento, seppur con un grande balcone, era necessario farli uscire spesso per farli abituare a quella situazione nuova.
Avevo deciso di portare con me i miei animali perché erano miei, alcuni li avevo raccolti per strada, altri allattati da piccoli, altri salvati da malattie ed erano legati a me in modo viscerale e io a loro.
Uscii dal portone, mi diressi verso la zona erbosa e respirai.
Non dimenticherò mai quella sensazione, quel respiro lungo che scioglieva il masso nel mio petto, il brivido che mi percorreva il corpo. Una sola parola mi cantava nella testa “Sono libera.” Com’era protettiva quella parola, era una madre.
Ero stata ubbidiente per troppo tempo, ora avevo finalmente disobbedito, ero tornata a essere IO.
Continuavo a respirare e sentire l’aria fredda della mattina scendermi dentro, come una cascata di vita, mi sembrava di respirare dopo un secolo d’apnea.
Si ero viva, ero libera, ero nuova. Ci avrei messo un po’ a ricostruirmi, per risorgere come una Fenice, ma avevo finalmente iniziato il mio cammino.
Avevo portato con me, in quell’appartamento, i miei sette cani e tre gatti, ero proprio una folle disobbediente.

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