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Ma tornerò

Il 18 febbraio il rover Perseverance si poserà su Marte, con l’obiettivo di portare sulla Terra i primi campioni del pianeta rosso. 

 Breve racconto di fantascienza.

di Cinzia Anna Tullo

  Riuscimmo a trovare un varco nella densa nube elettrica e ritrovammo la rotta per Koros7.

Il  pianeta era avvolto dalla luce violenta di un sole rosso che si sbriciolava nel letto di torrenti sassosi, illuminava  spiagge incrostate di scogli  e colava lungo colline boscose.

L’equipaggio si divise in squadre.  Io e Tea andammo a ovest, in direzione delle alture .

Faceva caldo, nell’aria pesante sembrava fluttuare una sostanza invisibile, che   folate di vento rigavano in ogni direzione.

Ci inoltrammo  in una grotta.

La strumentazione non rilevava presenze di vita. Entrammo in un passaggio dove le rocce si restringevano formando un’angusta galleria.

Avanzammo  cauti, finché l’ambiente iniziò gradualmente ad allargarsi . Una curva a gomito e ci trovammo in una caverna enorme illuminata a giorno.

Scaloni di pietra viva squarciavano il centro di quello spazio immenso. Fu una discesa, lunga e tortuosa. Tea ricontrollò gli strumenti. Zero assoluto.

Dopo l’ultimo gradone, un arco naturale: la porta di un mondo sotterraneo. Improvvisi ci colpirono suoni di voci, echi di risa , rumore di passi,  l’abbaiare di un cane.

 

 

Un lago giallo si stendeva davanti a noi. Era illuminato da  luci fluorescenti che, dal fondale, lanciavano fasci brillanti che bucando l’acqua  si scioglievano in fontane di luce su grandi soffitti vetrosi e sfaccettati come diamanti.

Sulle sponde, villini  spuntavano a ciuffi,  immersi in  giardinetti con aiuole colorate.  Bianche strade si intersecavano tra le abitazioni e risuonavano di passi.

Ora li vedevamo bene, coloro che vivevano lì. Erano  identici agli abitanti della Terra; solo, avevano la pelle chiarissima e diafana e  occhi grandi , il che li rendeva davvero affascinanti.

Gli strumenti continuavano a non segnalare presenze di vita.

Ci avvicinammo a un banco, sotto un tendone colorato, in una viuzza sterrata; grosse ceste erano in mostra, piene di frutti simili a mele.

Tea ne prese uno e fece un cenno all’uomo che sistemava altra merce vicino a noi, ma lui la ignorò.

Presi altri due frutti blaterando qualcosa. Identica assenza di reazione. Era come se fossimo trasparenti.

Rivolgemmo cenni di saluto ad una ragazza che ci passò accanto. Inutile! Non ci vedevano né ci sentivano.

“Forse ho una spiegazione.” – ipotizzai- “Siamo finiti in un universo parallelo.  Non possono percepire la nostra presenza, perché hanno vibrazioni diverse dalle nostre. Per loro siamo come  ultrasuoni e ultravioletti.”

“E come mai noi li vediamo e li sentiamo?”- osservò Tea.

“Credo dipenda dalla nebula che abbiamo attraversato. La turbolenza elettromagnetica  ha amplificato la nostra ricettività neuronale.”

Come fantasmi catapultati dall’aldilà nel mondo materiale, avanzammo verso i villini.

In un giardinetto, una donna anziana lavorava ai ferri . Vicino a lei due bimbette erano accoccolate nel verde.

Tea si fermò. Mi afferrò un braccio,  scossa da un tremito violento.

“Tea! Stai male?.”  Sudava freddo ed era scossa da brividi. Le misi un piccolo inalatore di ossigeno sul viso.

Riprese lentamente colore. Smise di tremare.

“ Tutto ok?”le chiesi ansioso.

“No, no!  Quella donna è mia madre! Jo, mia madre che è morta due anni fa! E le bambine nell’erba sono le gemelle che ho perso l’anno scorso, nell’incidente stradale. Lo sai! ” Non riuscì a dire altro.

La presi tra le braccia e la tenni stretta.

“Come può l’universo farmi questo? –  mormorò piena di disperazione – Non  è ancora sazio del mio dolore? Perché farmi incontrare i miei fantasmi? Perché? Ma forse l’universo non c’entra niente. Io sto impazzendo!”

“Non stai impazzendo, Tea.  Vedo esattamente quello che vedi tu. Riconosco anch’io tua mamma e le tue bimbe! E sono stupefatto!”

Entrammo nel piccolo giardino .

“Tea! Non…” dissi. Ma  non mi ascoltava.

Si accoccolò accanto alle bimbe.

“Sono la mamma,tesoro!” diceva ora all’una ora all’altra. E le abbracciava ancora e ancora,  mentre loro continuavano a  raccogliere fiori con gridolini di soddisfazione.

Andò dalla madre. Le cinse il collo. Anche l’anziana signora non la vedeva, non la sentiva. Continuava placida nel suo lavoro a maglia.

“Andiamo via Tea!” la esortai .

Ma lei era come in preda ad una lucida follia che la spingeva avanti e avanti. Entrò in casa. Nella penombra della stanza, la luce del computer urtava cruda sul viso di Ted, che digitava concentrato, come sempre.

Gli si parò davanti, sovrastandolo con lo sguardo.

“Di nuovo a casa! Allora lei ti ha mollato!” gli urlò adirata, mentre il ricordo dell’ultima violenta discussione, della gelosia che le mordeva la carne, della rabbia, della folle corsa in macchina con le bimbe che dormivano placide sul sedile posteriore, la colpì più violenta dell’albero che le si era scagliato contro l’auto, in una notte d’agosto.

Accecata e assordata dai suoi demoni, corse, come in trance,  al piano di sopra. Aprì   porte,  armadi, cassetti. Alla ricerca di un tempo che non le apparteneva più.

Poi vinta dal peso dell’emozione si appoggiò al muro,esausta.

“ Andiamo, adesso! Forza! All’astronave! Chissà se riusciremo mai a tornare a casa, quella vera intendo.”dissi, più a me stesso che a lei.

“E se restassimo qui?” chiese Tea  piena di speranza.

“Sarebbe la fine certa. Non conosciamo gli effetti a lungo termine dell’ipersensibilità cui siamo sottoposti .  Le leggi del cosmo  non perdonano l’arroganza di chi non sa.”

“Devo abbandonare le mie bambine, perderle una seconda volta, rinunciare allo sguardo di mia madre! Tornare alla solitudine!” mormorò triste.

Le presi una mano, e lei seppe che capivo il suo dolore.

“Hai ragione, Jo. Ma, ti prego, prima di andare, lascia che trovi anche me. Voglio solo sapere come, in questo mondo parallelo, sono riuscita a non uccidere le mie figlie nell’incidente. Quale magia ha riportato a casa Ted, dopo la fuga d’amore con una delle sue studentesse.”

“Potrebbe volerci troppo tempo” dissi “Il tuo doppio può essere  lontano da qui,  tornare chissà quando.

“ Lo so, lo so. Consumiamo la vita,  chiedendoci dove abbiamo sbagliato. E ora che tu  sei così vicina alle risposte che cerchi, devi abbandonare la partita. Ma la posta in gioco è veramente alta, Tea!”

“Andiamo! ” sospirò chinando il viso delusa.

Riattraversammo il giardinetto. Le bimbe erano accanto alla nonna. Le avevano posato in grembo il bottino floreale. Tea esitò, dilaniata dal desiderio di un ultimo abbraccio. Ma  rivivere l’addio definitivo a cui già una volta aveva dovuto arrendersi le avrebbe strappato il cuore.

“ Se le leggi dell’universo ci hanno permesso di fare questa esperienza perché non mi hanno fatto incontrare anche con me stessa? ” mi chiese ,mentre si voltava indietro  un’ ultima volta.

“Era così che doveva andare.” le risposi  evasivo.

Avevo ancora negli occhi una piccola lapide che nel giardino era seminascosta da un cespuglio  pieno di fiori blu. Una pietra rotonda , con al centro l’immagine di una  donna dagli occhi sorridenti e con le labbra arricciate nel gesto di mandare un bacio.

Un vezzo, questo, che aveva sempre dato a Tea un che di infantile, nella sua esistenza sul terzo pianeta del sistema solare.

 

Cinzia Anna Tullo

 

 

 

 

 

 

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