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“Oltre”

Di Federica Sanguigni
Racconto
Marilena giunse alla stazione ferroviaria di Roma con quaranta minuti di ritardo.
Scese dal treno e si guardò intorno, smarrita e disorientata, sperando di non attirare l’attenzione dei soldati sparsi ovunque. Aveva solo sedici anni ed era la prima volta che usciva dai confini del paesello in cui viveva. Con gesti nervosi si lisciò la gonna e si riavviò i capelli. Teneva lo sguardo basso, come le aveva insegnato sua madre, buonanima. Le aveva ripetuto, fino all’ossessione, che le signorine beneducate non guardano mai dritte davanti a loro.
Qualcosa, però, la indusse ad alzare la testa incrociando due occhi piccoli e neri che la stavano osservando in un modo che a lei parve oltraggioso. Di scatto girò la testa dall’altra parte ma quegli occhi perversi la seguivano, lo sentiva. E non solo gli occhi. Avvertì il rumore dei passi avvicinarsi e prese a correre come inseguita dal diavolo. Si sentì afferrare per un braccio ma, nell’istante in cui si voltò, un’altra mano si posava su quella sudicia dell’uomo che l’aveva raggiunta.
«La signorina è con me». disse una voce profonda e sicura di sé all’indirizzo dell’altro, che fece per obiettare qualcosa ma poi si allontanò imprecando.

Marilena, lo sguardo ancora basso, mormorò un timido grazie al suo salvatore e fece per allontanarsi.
Ma lui la trattenne, con cortese fermezza, chiedendole se avesse bisogno di aiuto. La giovane stava per dire che no, non aveva bisogno di nulla ma le gambe le tremavano ancora per il brutto incontro di poco prima e, chiedendo mentalmente perdono alla mamma, bisbigliò qualcosa. Parlò così piano che il suo interlocutore non capì nemmeno una parola. Allora, con una delicatezza che non ci si sarebbe aspettata da una mano così grande e vigorosa, mise due dita sotto il mento della ragazza per farle alzare il viso. Marilena rabbrividì e sulla faccia le si dipinse un’espressione quasi di terrore che fece ritirare la mano all’uomo, sorpreso da quella reazione.
Con gentilezza la rassicurò che non aveva intenzione di farle del male. Solo, voleva capire come potesse aiutarla. Marilena si sforzò di alzare la voce e lo sguardo e balbettò qualcosa riguardo il fatto di essere diretta presso non si capì bene quale ospedale per andare a trovare suo fratello, ricoverato per una ferita di guerra. L’uomo le chiese in quale ospedale si trovasse e lei gli porse, timidamente, un bigliettino stropicciato su cui era scritto il nome del nosocomio.
«Se mi permette, l’accompagno». Di nuovo Marilena ebbe paura. Davanti al viso parve materializzarsi la figura piccola ma imponente di sua madre con l’indice puntato su di lei come a trafiggerla. Le ricordava che dare confidenza agli sconosciuti era disdicevole e molto, molto pericoloso. La ragazza non sapeva davvero cosa fare e, recitando sottovoce una preghiera per invocare aiuto e protezione, si affidò all’uomo misterioso e gentile.
Fecero un breve tratto a piedi e arrivarono all’ospedale indicato sul biglietto. Marilena chiese alla suora, all’entrata informazioni per trovare suo fratello, quasi dimenticando il suo accompagnatore.
Si avviò verso l’ampio scalone e solo in quel momento si ricordò di lui. Si voltò alla sua ricerca ma non lo vide.
«Sorella, mi perdoni, ha visto dove è andato il signore che mi ha accompagnata»? La monaca la guardò stupita.
«Quale signore»?
«Ma come»!? esclamò Marilena con altrettanta meraviglia. «L’uomo che era qui con me quando le chiedevo le informazioni. Il signore dal viso gentile che mi ha condotta fin qui, dalla stazione».

La sorpresa sul volto della suora si trasformò lentamente in uno sguardo di compassione. Il viaggio, la preoccupazione per il fratello ferito: la ragazza doveva essere esausta. Le offrì un bicchiere d’acqua fresca e la invitò a sedersi. Ma Marilena non voleva sedersi né desiderava bere.
Voleva trovare il suo accompagnatore e ringraziarlo. Non le piaceva fare la parte della maleducata. Sua madre sarebbe stata molto contrariata. Cominciò a gesticolare, alzando un poco la voce, mentre le guance le si imporporavano per la vergogna. «Sorella» riprese dopo essersi calmata, «come fa a dire di non averlo visto? Era qui accanto a me. Quel signore con il lungo cappotto e il cappello neri. Aveva due grossi baffi. E gli occhi chiari come acqua di mare. E buoni. Tanto buoni. E…»
All’improvviso smise di parlare. Sollevando lo sguardo, aveva intravisto un ritratto appeso alla parete alle spalle della religiosa.

«Eccolo»! esclamò sorpresa ma contenta. «Sì, sì, è proprio lui. Lavora qui? È un dottore? Un impiegato? Me lo chiamerebbe, gentilmente? Devo assolutamente ringraziarlo. La prego». E così dicendo, unì i palmi delle mani e quasi si inginocchiò davanti alla monaca. Poi, indicò di nuovo il quadro.
Suor Bianca seguì il dito di quella strana ragazza e si girò. Si portò una mano alla bocca, facendosi il segno della croce.
«Signorina» esordì con tono severo, «quest’uomo è stato uno dei nostri più grandi benefattori.
Una persona di elevato spessore morale e dalla generosità ineguagliabile. La prego di non scherzare dicendo queste sciocchezze. Il signore qui ritratto è venuto a mancare più di tre mesi fa».
E nel pronunciare le ultime parole, la voce le si incrinò mentre si asciugava, furtiva, una lacrima che non era riuscita a trattenere.
Marilena sbiancò. L’uomo che l’aveva accompagnata era lo stesso del ritratto. Su questo non c’erano dubbi. Abbassò lo sguardo al pavimento, mortificata per essere stata presa per una bugiarda e solo in quel momento notò il bigliettino con il nome dell’ospedale che proprio lei aveva dato al suo salvatore. Si chinò a raccoglierlo e avvertì un soffio tra i capelli mentre due dita le alzavano il mento.
Si ritrovò faccia a faccia col viso gentile del ritratto. L’uomo le fece una carezza delicata e andò via.
«Signore, signore… aspetti, la prego»! Marilena si voltò verso la suora che la stava fissando allibita. Guardò di nuovo in direzione della porta ma non c’era nessuno. Allora capì.

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