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Storie vere: le gioie e le incertezze dell’infanzia

Racconto di Carmen Grattacaso
Introduzione di Marina Agostinacchio

I ricordi di Carmen, depositati sulla pagina come fossero un presente della memoria che chiede di essere ascoltato, ci immergono in una storia di vita fatta di piccole gioie, sensazioni, emozioni.
Il mondo di Carmen affiora con l’immediatezza e la freschezza di una bambina che guarda avvenimenti di cui teme l’ingresso nella propria esistenza, fatta di equilibri affettivi, di figure maschili,(il padre e lo zio) che Carmen sente “grandi eroi” della sua infanzia.

Al paese di mio padre, dove ci recavamo in villeggiatura, quella mattina di fine settembre ci svegliammo senza trovare mamma.
Papà era già a Salerno da per lavoro.
C’era a casa una nostra zia che abitava nella villetta accanto, che era stata chiamata dai miei per accudirci e sorvegliarci quella notte. La zia ci dette subito la bella notizia che era nata la piccola Lucianna e che nostro zio (suo marito, il fratello di mio padre) ci avrebbe accompagnati in clinica.
Non so perché mio zio si trovasse al paese, visto che era già finita l’estate.
«Su, fate colazione e poi vestitevi in fretta, così andate a vedere la sorellina».
La voce era di mia zia F, la mamma dei miei cuginetti D. e G.
Non so cosa provassero i miei fratelli, ma io ero felicissima.
Quando ero piccola, mi piacevano le novità, le nascite, i matrimoni e le feste.
Tutto il contrario di ora.
Quindi feci più in fretta degli altri e, in pochissimo tempo, mi trovai in macchina, seduta vicino al guidatore, mio zio M., che amavo tanto perché mi faceva sempre ridere.
Zio M, era di due anni più piccolo di papà e faceva sempre battute. Era alto, dinoccolato, un po’ somigliante all’attore James Stuart. Lui e papà si somigliavano molto, ma papà non era così alto, però era più bello ( ovviamente il mio è un giudizio parziale).
Zio M. aveva un’aria più ingenua e l’aspetto di un eterno ragazzo che mantiene tuttora che ha novantadue anni.
In auto continuavo a fare domande a zio; io ero orgogliosa che mi avesse fatto sedere al suo fianco, abituata com’ero a sentirmi sempre l’ultima ruota del carro, perché femmina.
«Zio, è vero che mia sorella si chiamerà Lucia Anna?».
«Così mi sembra di aver capito, Carmen».
«Sono due nomi. Perché?».
«Non so perché i tuoi genitori abbiano scelto due nomi. Uno dei due, il primo è il nome della tua nonna materna. L’altro, mi pare sia il nome della tua bisnonna materna. E poi Sant’Anna è la patrona delle partorienti».
Feci una smorfia.
“ Zio, parto … che?
Zio M. rise e mi prese la mano , che nella sua divenne ancora più piccola.
La patrona è una santa che protegge e Sant’Anna è una patrona che benedice e protegge le donne che devono diventare mamme. Si chiamano partorienti.
Non ero convinta. Allora perché non mi chiamavo anche io Carmen Anna?
“ Tu, piccolina, hai il nome della tua nonna paterna, Carmela.
Feci un’altra smorfia.
“ Nonna è brava e le voglio bene, ma a me il suo nome non piace. Menomale che mamma e tutti mi chiamano Carmen.
Mi girai verso i miei fratellini per capire cosa ne pensassero. Erano molto seri quella mattina, sembrava che temessero qualcosa. Non avevano detto una parola e viaggiavamo già da una mezz’oretta.
Dopo un po’, mio fratello C., il più piccolo, disse che stava per vomitare, così zio M. fermò la macchina e scendemmo tutti.
Zio gli mise una mano sulla fronte e C. inondò l’erba con la sua prima colazione.
«Zio» disse poi a voce bassissima «torniamo alla casa del giardino. Non la voglio vedere questa bambina!».
«Non vuoi vedere mamma e papà?».
«Sì» rispose Adriano. «Ma mi fai sedere vicino a te?».
Senza aspettare la risposta, mi sedetti dietro, rassegnata al mio ruolo di femmina, destinata a ruoli di non protagonista.
Mi dovevo accontentare di aver fatto mezzo viaggio vicino a mio zio.
Quando arrivammo in clinica io e i miei fratelli guardavamo l’un l’altro le nostre facce stralunate.
Papà ci venne incontro, sbiadito, come un video dell’epoca. Poi si mise a parlare fitto con suo fratello, chiaramente non volevano che ascoltassimo.
Mia madre aveva il viso stanco, ci salutò dal lettino con un cenno della mano. Cercava di essere presente e di non farci sentire come ci sentivamo, strani e fuori posto. La bambina era in una culletta al suo fianco.
«È bellissima!» esclamai, chiedendo perché avesse gli occhi impiastricciati e chiusi.
«Perché è appena nata» disse l’amica di mia madre che avrebbe fatto da madrina a Lucianna.
Mi sedetti su una sedia vicino al letto di mia madre. Volevo accarezzare i suoi capelli morbidi, ma non osavo fare gesti che avrebbero potuto urtarla. Non potevo sapere allora quello che avrebbe significato per me quella nascita, come la mia vita sarebbe cambiata.
da “Storie di bambina”- Inedito

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