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Qualche estate fa

Raccontare una sera d’estate…

L’ ora della cena

Ieri prendevamo la coda dell’ultimo sole.

Intorno al tavolo della cena, mio marito, Davide, il terzogenito e io.

L’estate ha la fragranza di fiori, erba profumata e cibo. Qualsiasi cosa metta a tavola, assume un aspetto quasi immaginifico, si adorna di attese, ritarda il tempo del dopo.

Riso e patate e vino bianco fresco. Che sarà mai. La fantasia culinaria di Davide: unire le patate a pezzi piccoli, del pranzo,e saltate in padella, al riso.

Un po’ nel piatto e un po’ a guardare dalle veneziane il sole nel suo ultimo respiro.

E mentre guardo, penso a quello che vorrei fare se fossi agile con le gambe. Dopo essere finita con la bicicletta sotto una macchina, sono claudicante. Ma devo avere pazienza. Sempre ti viene voglia di agire quando c’è un divieto, una prescrizione, in questo caso del medico.

Però, guarda… Se non fosse stato per il passo rallentato che mi ritrovo, mi sarei alzata di gran carriera a sistemare la cucina, come d’abitudine. E non avrei fissato gli occhi su una figura di donna sul marciapiede. Elegante, col suo copricapo bianco. Un piede, poi l’altro, si muove con l’abito lungo che ne fa un pezzo monolitico, una statua luminosa ambulante.

Riconosco Ayan, la figlia, che le sta dietro. Ho allora la conferma che la donna è quella signora flessuosa e gentile che vedo ai colloqui scolastici di tanto in tanto. Cerco di affrettare il passo zoppicante verso la sala. Raggiungo il terrazzo. La chiamo. Voglio sentirne la voce e, se posso dire, anche la grazia. È andata a trovare in ospedale una bimba figlia di vicini di casa e nativa, come lei, della Somalia.

Le chiedo dove abbia un mezzo per tornare a casa. Risponde che non ce l’ha. Andrà a piedi con la figlia lungo l’argine. Ma il quartiere dove abita e dove io insegno non è esattamente dietro l’angolo ed è estate, qui di umido caldo.

Dice che farà una passeggiata. Lo dice con un sorriso che spalancherebbe anche al più diffidente della terra l’anima a raccoglierla e a portarla in braccio con Ayan.

Vero è che per farci piacere il mondo, dovremmo potere guardare oltre una veneziana, prendere gli occhi della gente come se fossero mani che stringiamo per tornare a casa.

Marina

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