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IL BUIO OLTRE LA SIEPE

Introduzione di Marina Agostinacchio
Di A.R.

“ Il buio oltre la siepe” è un romanzo pubblicato in lingua italiana nel 1962 scritto da Harper Lee e ambientato in una cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti, Maycomb ( città immaginaria dell’Alabama) negli anni Trenta.
Venne poi riadattato in veste cinematografica da Robert Mulligan e così magistralmente interpretato da Gregory Peck nei panni dell’avvocato Atticus Finch che ricevette tre Premi Oscar.
I protagonisti sono i figli di Atticus , Scout ( una bimba molto vivace nonché narratore del libro) e il fratello Jem.
Al centro un episodio che ben raffigura il clima intollerante nei confronti dei neri negli Stati Uniti dell’epoca dove ancora vigeva la segregazione razziale: Tom Robinson, appunto un bracciante di colore, viene accusato di stupro.
Atticus , considerato “negrofilo” lo difende e, nonostante fosse innocente, Tom Robinson viene condannato e incarcerato. Non riuscendo a sopportare il peso dell’ingiustizia e sebbene si potesse ricorrere in appello, tenta la fuga e viene ucciso dalle guardie.
Il vero colpevole è un uomo rozzo, ignorante , il padre della ragazza violentata ( Bob Ewell) che cova un odio così grande nei confronti di Atticus al punto di attentare alla vita dei suoi figli.
In una notte oscura Ewell li aggredisce, ma vengono salvati dal vicino di casa, Arthur Boo Radley, un ragazzo psicolabile, che lo uccide.
I bambini non conoscevano questo strano vicino e la sua storia era avvolta nel mistero. Si diceva fosse un esaltato, rinchiuso in casa dal padre per evitargli il carcere e per tenerlo lontano dagli occhi della gente.
Non era un criminale; aveva trascorso i suoi anni con gli amici della sua banda a fare scorrerie e a dar fastidio al prossimo.
Nessuno l’aveva mai visto e nella sua fantasia Jem pensava che il padre lo tenesse addirittura legato al letto.
Nonostante ciò i due fratellini erano attratti da lui: lo temevano, ma non mancavano di fare incursioni intorno alla sua casa per cercare di vederlo.
La conclusione si potrebbe definire a lieto fine. Quell’uomo, che osservava i due piccoli sempre da lontano, lasciava loro nel tronco di un albero dei regalini: due figurine di sapone, un orologio rotto con la catena, un paio di monetine portafortuna. Li considerava gli unici amici.
Scout, dopo l’aggressione di Bob Ewell, con gesti freschi e parole spontanee tipiche di una bimba di otto anni, con delicatezza lo conduce nella stanza del fratello permettendogli persino di accarezzargli la testa mentre riposa. Poi lo prende per mano e lo accompagna a casa con una semplicità disarmante.
Durante il tragitto la piccola comprende” il suo linguaggio muto “ e nel ritornare a casa sua pensa di non aver mai visto il vicinato da quel punto e da quell’angolazione. Capisce in quel momento quanto fossero vere le parole di Atticus quando le diceva che non si può conoscere un uomo realmente” se non ci si mette nei suoi panni e non ci si va a spasso”.
In questo contesto è chiaro l’intento della scrittrice che attraverso il significato della siepe ci dà la giusta chiave di lettura per cogliere la situazione sociale di quegli anni negli Stati Uniti.
Personaggi importanti come Barack Obama invitano a leggere il romanzo proprio per combattere il pregiudizio, la discriminazione, il razzismo in quanto sono fenomeni che, purtroppo, continuano a sussistere nelle nostre società manifestandosi attraverso diverse forme e tipologie.
La siepe, in realtà, può divenire Metafora di molto altro, dell’incognito ad esempio che in animi sensibili come quello di G. Leopardi , può portare a sorvolare i propri limiti sensoriali.
Nell’Infinito se ” da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” , dall’altra il poeta riesce ad andare oltre a quella e ipotizzare “spazi interminati e sovrumani silenzi e profondissima quiete”.
Qui la siepe diventa insieme al colle un ostacolo fisico, un confine che non permette al poeta di giungere con gli occhi all’estremità del cielo, ma non impedisce nemmeno alla sua immaginazione di superare quegli spazi così incommensurabilità da provare sgomento e paura. La forza della mente si compenetra a tal punto nell’immensità che alla fine si perde dolcemente in essa.
E per quanto possa apparire un volo pindarico, mi sembra di intravedere e identificare nell’avventura dell’Ulisse dantesco una “siepe” nelle colonne d’Ercole, considerate il limite del mondo conosciuto per gli antichi.
Ulisse, uomo moderno, con uno sfrenato desiderio di sapere e di conoscere, collocato nell’Inferno da Dante tra i fraudolenti nell’ottava bolgia nell’ottavo cerchio, convince i suoi compagni “con questa orazion picciola” a proseguire il cammino, a sfidare il mare aperto per dare un senso a quella breve vita che restava loro di vivere.
Ben lontano dall’Ulisse omerico, l’ostacolo decretato dagli uomini non frena la sua sete di sperimentare nuove strade. In realtà ciò rappresenta la sensibilità di Dante nel cercare di superare la visione della vita dei suoi tempi, quasi anticipando quell’ansia di conoscenza che si concretizzerà qualche secolo dopo con l’Umanesimo e il Rinascimento. Certo l’ammirazione del Sommo Poeta per Ulisse è grande, ma rimane sempre un uomo medioevale che non può esaltare chi va contro la divinità e il “folle volo” lo porterà, insieme ai compagni, alla morte.
E per noi cosa cos’è la siepe? L’ignoto, la morte, il niente?
Da bambina avevo tanta paura del buio: immaginavo strani fantasmi che potevano aggredirmi tra le tenebre. Mio padre mi mandava la sera in cantina a prendere il carbone per la stufa. Un mattino mi prese per mano e andammo giù : c’erano vecchi scatoloni colmi di giocattoli in un angolo, legna accatastata in un altro, il carbone negli appositi contenitori e cianfrusaglie di ogni genere che, nel gioco di luci e ombre nell’oscurità, potevano assumere le forme dei più terribili “cattivi” in agguato. Allora ho capito che non vi era alcun pericolo in quella cantina, dopo aver visto chiaramente alla luce del sole che nessuno era acquattato in attesa che io arrivassi per farmi del male.
La paura, dunque, si dissolve e si supera quando impariamo a conoscere, a capire e ad affrontare ciò che ci spaventa.
La siepe può essere un ostacolo nella mente di ciascuno di noi, i nostri pregiudizi, le convenzioni sociali vuote, la mancanza di razionalità, le sovrastrutture che noi stessi ci costruiamo, tutto ciò che non permette di aprirci agli altri e soprattutto verso chi è diverso da noi per cultura, provenienza, credenze religiose.
Le siepi sono i legacci che ci imbrigliano e paralizzano le nostre azioni, bloccano ogni tipo di slancio e alzano i muri nei rapporti tra gli uomini.
Ognuno ha una “siepe” diversa che si interpone tra il proprio IO e il BUIO; l’oscurità non permette all’Uomo di oggi di vedere e , quindi, di “dominare” l’ignoto.
Questo genera paura, vuoto, smarrimento, incertezza e rende chi ancora rimane arroccato in se stesso fragile e incapace di fare luce in quell’oscurità che c’è oltre quella siepe.

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