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Quando istruirsi era una necessità e un’esigenza sentita, un valore da tramettere.

Per Diritti e società, oggi un articolo di Ilaria Goffo sul desiderio di imparare e di sapere fare scuola.
Coinvolgente come sempre, Ilaria Goffo, nella sua narrazione, ci parla anche del nonno e del maestro Manzi, come esempi di discente e docente, pervasi di entusiasmo di apprendimento e di insegnamento, offrendoci uno spaccato dell’Italia di un tempo e di oggi.

Quando istruirsi era una necessità e un’esigenza sentita, un valore da tramettere.

A sette anni mio padre sedeva al tavolo di sera per svolgere i compiti con il fratello maggiore e a capotavola sedeva il nonno, che io non ho mai conosciuto.
Il racconto che mi ha sempre colpito di più è l’immagine del nonno, seduto al tavolo che tentava di scrivere le sillabe delle parole, le scriveva sui fogli dei quaderni di scuola dei figli o sulla carta gialla usata per avvolgere il cibo, una carta grossa, che lui strappava; si prendeva un lembo per scriverci.
Mio padre racconta che era stanco, stanchissimo dal lavoro, ma trovava la forza di sedersi dopo cena e provava a scrivere, seguendo la trasmissione del maestro Manzi in tv.
Racconta mio papà che non chiedeva consigli tanto facilmente, perché era orgoglioso, o forse si vergognava di chiedere ai figli le parole che lui non sapeva scrivere.
Probabilmente al suo posto, anche io mi sarei sentita in difficoltà a chiedere, non è facile mostrare ai figli le proprie fragilità; eppure, anche se uomo che si sporcava le mani, lavorando umilmente e che tornava a casa stanco, dimostrava una grande volontà: voleva imparare a scrivere. (Non fatevi influenzare da chi rifiuta le proprie origini, qualsiasi sia ne sia la natura; esse sono parte di noi, di voi. Le radici sono radici perché ci radicano).
Mi sembra di vederlo: sillaba in silenzio, trova difficoltà, appoggia la mano sinistra sullo zigomo mentre con la mano destra tiene la matita e prova, prova ascoltando la lezione del maestro Manzi a far scorrere la matita e sta chino sul foglio, come i bambini che imparano a scuola.
Anni ’60, ricorda mio padre, una grande novità arriva nelle famiglie: la tv . Questo mezzo tecnologico è di grande utilità soprattutto quando, attraverso un maestro in carne e ossa e una lavagna di resina nera, molti Italiani imparano a leggere e a scrivere.
Perché ne voglio parlare?
Perché, mentre la scuola si evolve nei metodi e negli strumenti e la società cambia, non so se essa oggi assuma per molti studenti quel valore che mio nonno attribuiva al maestro Manzi.
Sanno porsi i ragazzi con umiltà dinanzi a chi insegna, accettando il fatto di non sapere e avendo la consapevolezza della fatica necessaria per raggiungere i traguardi attraverso uno studio serio?
Il senso della fatica, dell’impegno dove è finito?
Sappiamo altrimenti fare solo polemica nelle chat di whats app, lamentandoci se quell’insegnante fa così e quello fa colà; diventiamo quasi analfabeti emozionali, a mio avviso, nel sapere usare le parole solo per criticare senza costruire.
Non vuole essere una mia l’inizio dell’ennesima diatriba pedagogica, no, assolutamente, vuole essere solo quella finestra che si apre sul passato, su un passato a me vicino, che mi fa dire “Grazie”.
Nella scuola, siamo arrivati persino all’overdose della formazione per adulti, dove è persino difficile destreggiarsi tra le migliaia di proposte che ci vengono offerte, ma perdendo il legame talvolta con l’obiettivo. Dove stiamo andando e perché.
Personalmente mi sento fortunata percome sono, perché sento il bisogno di ossigeno, di respiro, di un respiro dovuto al fatto che bisogna fare passi avanti, mantenendo il contatto con noi stessi, con la terra, con gli altri, quel contatto che mi fa essere più che pieno di informazioni, capace di discernerle.
Quel contatto che mi fa capire che non dobbiamo perdere l’umanità, il rispetto che si insegna dalle azioni più che dai contenuti.
Mio nonno, seduto al tavolo con i figli a imparare ha insegnato più di mille parole.
Imparare è importante, costa fatica, come ho scritto. Tuttavia spesso pare che il sapere astratto sia più importante di sapere stare al mondo
Allora, insegniamo ai ragazzi lo stare qui e ora più che a sapere, sapere, contenuti e contenuti di cosa, se poi non rispettano gli altri e loro stessi?
Raccontiamo loro storie vere, sediamoci accanto a loro la sera e raccontiamoci, perché poi un giorno non riconoscerete più quei figli completamente estranei a voi stessi.
Raccontatevi con le azioni, fatevi osservare, fatevi modelli. Non riempite i loro pomeriggi di corsi, che a loro interessa stare con voi, seduti accanto a voi, prima di spiccare un giorno il volo. Sapranno inglese, tennis, pallavolo, o chitarra, ma che sapranno di voi, del vostro stare con loro, della condivisione…l’infanzia non torna.
Grazie nonno di avermi insegnato attraverso i racconti di mio padre. Grazie di non aver mollato, di non esserti arreso, di essere riuscito a scrivere prima il nome e il cognome e poi la data di nascita e altre parole che seminavi su pezzi di carta per casa. I tuoi figli ricordano la tua forza, da piccoli ti guardavano e stavano in silenzio a fare i compiti per non disturbarti. La C davanti alla A non capivi bene perché non si leggeva CIA. Ma sai che ti dico, che sei stato bravo: facevi parecchie ore di strada e poi di lavoro, tornavi e volevi imparare.
La fatica di chi con consapevolezza silenziosa, di chi non usa tante parole, ma vuole impararle, che ha insegnato ai figli che nulla è regalato, che si vergogna di non sapere quanto i figli, ma vuole per loro una strada migliore.
Caro nonno il tuo maestro allo schermo è stato un esempio di come si possa arrivare a tutti con dignità, con bontà e con molta passione.
Cari adulti di oggi, bambini di ieri, fate tesoro del nostro passato, perché è come uno scrigno, di emozioni, fatiche, traguardi di altri che possono solo aiutarci a capire per migliorare il futuro dei nostri figli.
C’è nella scuola una attitudine generale, e di taglio competitivo, del fare del sapere una gara, mentre quello a cui dovremmo aspirare è una scuola di semplicità, dove semplicità non è banalità.
State attenti a riempire i vasi, perché poi essi esplodono; riempitevi il cuore di gioia che può essere contagiosa. Chi semina, si sa, raccoglie. Raccogliere è sempre un gesto umile. Mi accorgo che ho usato molto la parola umiltà forse perché vorrei che ve lo ricordaste che la stiamo perdendo, ovunque, dentro e fuori.

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