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Tracce di memoria – Seconda parte

Di Maria Chiara Acazi

Di Maria Chiara Acazi

Nella sua opera Marchesan riesce con coerenza teorica e argomentativa, guidato sempre dalla scienza e dalla scienza del diritto, a condividere il suo sguardo nell’io e nel mondo: un io che è energia vita e non psiche poiché questa rappresenta il sistema nervoso vitalizzato, entità biochemiofisiologica di natura corporea. L’io si realizza corrispondendo alla legge di godimento articolato in relazione alla propria esistenza, alla propria presenza, all’ambiente, alla propria azione sull’ambiente. Tutti i codici civili del pianeta sono a fondamento e atti a regolamentare il godimento del diritto al godimento e le leggi sono orientate a porre delle barriere a chi tenta di turbare il godimento del diritto altrui.

Marchesan puntualizza inoltre che questo godimento non è stato una nostra scelta ma c’è stato imposto da una forza esterna, che a proprio scopo ci invita a partecipare.

Il godimento può trovare espressione a partire dall’esistenza del soggetto e dalla sensibilità predisposta a sensazione piacevoli; in ogni caso, l’autore sostiene che oltre alla sensazione nervosa ci deve essere una disposizione dell’Io ad adeguarsi a quanto riceve dai nervi, altrimenti la sensazione piacevole può essere avvertita come dolorosa o offensiva a causa della dissonanza e il contrasto con l’Io. A questo proposito l’autore riporta alcuni esempi per esplicitare l’importanza della contestualità rispetto ad un evento che può essere percepito con piacere da chi vi assiste o con sofferenza da chi vi è coinvolto. La contestualità emerge come un elemento fondamentale da cui non si può prescindere poiché la realtà consiste nella coesistenza simultanea del tutto: “la contestualità è una realtà che va verso la completezza, la compitezza, l’integralità, l’unitarietà, il reciproco influsso estetico dei vari elementi in essa compresi. (…) le valutazioni estetiche valide sono quelle della contestualità nella massima integralità possibile nella circostanza; inoltre la vera bellezza è nella universalità, anche se tenuta presente nello sfondo della persona” (M.Marchesan, 1986). La stessa situazione, lo stesso input possono creare sensazioni diverse, piacevoli, spiacevoli o dolorose in base alla persona, alle proprie predisposizioni personali e alla propria sensibilità emotiva: de gustibus non disputandum est. Il godimento dipende, quindi, da una sensibilità nervosa, identica in tutti gli individui, e da una sensibilità emotiva che è del tutto variabile da persona a persona e che interagisce con necessità, bisogni, opportunità del singolo. Relativamente al godimento di fatti luttuosi o che in ogni caso non sono fonte di felicità, l’autore preferisce utilizzare il termine ‘assaporamento’ poiché questo termine consente di concepire un contributo alla propria felicità nella sofferenza assaporata.

L’assaporamento e la spettacolarità, diversamente da come può sembrare, rappresentano elementi importanti fin dai tempi dei Romani che riassumevano l’essenzialità della vita con il motto ‘panem et circenses’ elevando il concetto della spettacolarità alla dignità di necessità vitale pari a quella del pane. Per poter comprendere il significato più profondo del termine, l’autore invita a considerare spettacolare il tutto, poiché in ogni cosa vi è chi ha parte di attore e chi vi ha parte di spettatore.

Oltre a ciò, Marchesan presenta l’energia vita “come uno strumento musicale che va suonato, nella gioia e nel dolore, nell’attesa e nella soddisfazione, nello sforzo e nel riposo, tanto che quando nulla accade veniamo presi dalla noia”. Quindi sembra che ogni Io debba essere fatto vibrare per il godimento di qualcuno o meglio per l’assaporamento; così, sostiene l’autore “il dolore sofferto, quando viene ricordato nella narrazione e nella reviviscenza, ha un effetto piacevole come di una spettacolarità offerta a se stesso e agli altri da chi ha sofferto. Sentiamo dunque che sotto vi è la necessità di creare in noi un vissuto, come dicono oggi gli psicologi, e che, comunque vada e quale che sia il tono lieto o dolente del vissuto, questo sia lo scopo per cui l’energia vita si è individualizzata in ciascuno di noi” (M.Marchesan, 1986).

Questa riflessione porta in sé un forte valore intrinseco della Vita che trova appunto, secondo le parole di Marchesan, la sua realizzazione (e quindi il suo godimento) nell’atto stesso del vibrare, del suonare; lo scopo dell’energia vita che ci rende esseri umani parte dalla necessità di creare in noi un vissuto. Questa considerazione squisitamente psicologica, filosofica e pedagogica, chiede di dilatare lo spazio dedicato alla riflessione per riconsiderare la profondità e il ruolo dell’esistenza umana e nello specifico dell’esser-ci nel mondo.

Oltre a ciò Marchesan giunge al concetto della condivisione e sottolinea l’importanza della comunicazione del godimento ad una persona, preferibilmente amata, perché in tal senso si sente di fare un dono a chi solitamente lo gratifica della sua presenza e di gioie. Il godimento quindi è incompleto quando non vi è la sensazione di comunicazione delle sensazioni di gioia e di pienezza agli altri e, quindi, quando manca di condivisione.

Marchesan comunica senza sosta la necessità, per l’essere umano, di azione e di cambiamento, dal momento che in ogni situazione l’immobilismo blocca il piacere o la contemplazione e provoca insofferenza: “… la natura della vita e dell’io si oppone alla staticità e alla identità, e pretende moto e variazione”.

Secondo l’autore l’uomo non è fatto per una statica contemplazione, nemmeno delle più grandi bellezze, senza che questa porti ad un esaurimento dell’attenzione e del piacere.  “La vita vuole provare l’emozione della scoperta, della conquista, dell’assaporamento.”  L’uomo ha bisogno di sempre nuovi confini, ma è in se stesso che può trovare un significato, un senso sempre nuovo, e questo non avviene in modo passivo, ma sempre attivo e “anche quando torniamo su determinati elementi della bellezza già considerati e assaporati prima, attingiamo qualche cosa di nuovo, mai di identico” (M.Marchesan, 1986)

L’energia vita deve necessariamente possedere alcune facoltà per esistere e queste rappresentano una dotazione e l’essenza dell’io: l’intelligenza, intesa come capacità di creare e possedere in se stessa l’immagine completa dell’ambiente; affinché l’Io umano possa, nella propria interiorità, comprendere conoscere ed essere consapevole della propria sostanza, di ciò che apprende e della realtà che crea; l’emozione cioè la facoltà di godere e di soffrire; sensibilità che opera come un energico suggeritore e la volontà, intesa come energia di attuazione sull’ambiente di quanto l’energia vita concepisce di possibile per un miglior godimento, atta alla realizzazione delle risposte alle sensazioni e agli stimoli che riceve dall’ambiente.

Nell’esercizio della volontà, ai fini del godimento con il minor dispendio di energie, emerge la spinta al nuovo che prevale sul ricordo del nuovo: il nuovo non è ciò che esiste ma è ciò in cui quello che esiste può essere trasformato, ecco come, aggiunge l’autore, anche sulla base di una necessità fisiologica scaturisce nell’uomo la fantasia.

La fantasia è un’attitudine mista, emotivo-intellettuale, la quale partendo da una conoscenza dell’attuale, vi sente degli spunti per un miglioramento inteso ad accrescere e variare il godimento col minor costo di mezzi e di tempo e con la maggior praticità. (…). Ne risulta che l’io, per soddisfare la legge di godimento, deve articolarsi in tre facoltà: quella in cui avviene il godimento, che chiameremo sentimento; quella grazie alla quale tiene i contatti cognitivi con il non-io, che dobbiamo chiamare intelligenza o conoscenza; e quella che gli consente di operare sul non-io, che possiamo chiamare volontà o azione” (M.Marchesan, 1986).

Marchesan si spinge oltre l’umano e considera questa articolazione trinitaria nel suo riscontro in un campo diverso ma contiguo, la religiosità: “l’azione è generatrice, è fatta di volontà, per cui si pensa a quel concetto di Dio che ne riassume la capacità volitiva, si pensa al Padre. La conoscenza è rivelatrice di verità, è parola, è collegamento logico e fa pensare al Figlio. L’emozione produce godimento e amore, e fa pensare allo Spirito Santo. Si deve sentire un fondo di verità psicologica nei versetti del simbolo atanasiano: ‘Deus Pater, Deus Filius, Deus Spiritus Sanctus; et tamen non tres Dii, sed unus est Deus’. Che si può tradurre come segue: ‘Vita l’azione, Vita la conoscenza, Vita l’emozione; eppure non tre Vite, ma una Vita. (…) L’io umano quindi può essere concepito come un contenitore fatto di Vita cosmica personalizzata nell’io individuo essere umano, contenente dentro di sé la carica di Vita cosmica articolata nelle tre facoltà, meglio detto nelle tre persone divine a cui esso io attinge e che utilizza per costituire in se stesso in vissuto – realizzazione il suo esistere e assaporare” (M.Marchesan, 1986).

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